1 marzo 2010:per un’Italia a colori!

febbraio 28, 2010

Domani è un giorno importante ed è giusto dirlo con le loro parole!

Il nostro manifesto

Domenica 17 gennaio, in coincidenza con la Giornata internazionale del migrante, abbiamo presentato ufficialmente il manifesto programmatico del movimento Primo Marzo 2010, una giornata senza di noi. Eccolo!
 
«Primo Marzo 2010, una giornata senza di noi è un collettivo non violento che riunisce persone di ogni provenienza, genere, fede, educazione e orientamento politico.
Siamo immigrati, seconde generazioni e italiani, accomunati dal rifiuto del razzismo, dell’intolleranza e della chiusura che caratterizzano il presente italiano.
Siamo consapevoli dell’importanza dell’immigrazione (non solo dal punto di vista economico) e indignati per le campagne denigratorie e xenofobe che, in questi ultimi anni, hanno portato all’approvazione di leggi e ordinanze lontane dal dettato e dallo spirito della nostra Costituzione.
Condanniamo e rifiutiamo gli stereotipi e i linguaggi discriminatori, il razzismo di ogni tipo e, in particolare, quello istituzionale, l’utilizzo stumentale del richiamo alle radici culturali e della religione per giustificare politiche, locali e nazionali, di rifiuto ed esclusione.
Ricordiamo che il diritto a emigrare è riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e che la storia umana è sempre stata storia di migrazioni: senza di esse nessun processo di civilizzazione e costruzione delle culture avrebbe avuto luogo. La violazione di questo e di altri diritti fondamentali danneggia e offende la società nel suo complesso e non solo le singole persone colpite.
Vedere negli immigrati una massa informe di parassiti o un bacino inesauribile di forza lavoro a buon mercato rappresentano, a nostro avviso, impostazioni immorali, irrazionali e controproducenti. La parte preponderante degli immigrati presenti sul territorio italiano lavorano duramente e svolgono funzioni essenziali per la tenuta di una società complessa e articolata come la nostra. Sono parte integrante dell’Italia di oggi.
La contrapposizione tra «noi» e «loro» , «autoctoni» e «stranieri» è destinata a cadere, lasciando il posto alla consapevolezza che oggi siamo «insieme», vecchi e nuovi
cittadini impegnati a mandare avanti il Paese e a costruirne il futuro.
Vogliamo che finisca, qui e ora, la politica dei due pesi e delle due misure, nelle leggi e nell’agire delle persone.
Il nostro primo obiettivo è organizzare per il 1° marzo 2010 una grande manifestazione non violenta dal respiro europeo, non solo con la Francia che con la Journée sans immigrés, 24h sans nous ci ha ispirato, ma anche con la Spagna, la Grecia e gli altri Paesi che si stanno viavia attivando. Vogliamo stimolare insieme a loro una riflessione seria su cosa davvero accadrebbe se i milioni di immigrati che vivono e lavorano in Europa decidessero di incrociare le braccia o andare via.
Il 1° marzo faremo sentire la nostra voce in modi diversi, che saranno definiti, di concerto con i comitati territoriali, in base alla concreta praticabilità e all’efficacia.Non ci precludiamo nessuno strumento, ma agiremo sempre nel rispetto della legalità e della non violenza».

A 30 anni dalla morte di V.Bachelet

febbraio 12, 2010

 

Pubblico volentieri questo aricolo di Rosy Bindi, a 30 anni dalla morte di Vittorio Bachelet

“Il più alto insegnamento spirituale e politico di Vittorio Bachelet è riconducibile alla sua morte. Forse è proprio per questo che più il tempo passa più la sua la sua testimonianza di cristiano appare  luminosa e feconda. Più il tempo passa più si comprendono la sua eredità e il suo martirio. Vittorio Bachelet  ha accettato di donare la vita per il proprio paese. E il suo sacrificio è stato un vero “martirio laico”, come subito vide il cardinale Carlo Maria Martini, per affermare i valori di libertà e di democrazia, di giustizia e di pace. Si era preparato a questo dono da tempo con il suo impegno ecclesiale e civile, i suoi scritti, le sue meditazioni, i suoi frequenti  riferimenti all’esempio ad altri martiri moderni, da Massimiliano Kolbe a Martin Luther King. E anche per questo, quando arrivò il  momento, non oppose resistenza. Sapeva di correre ogni giorno un grave rischio e di essere un possibile bersaglio delle Br ma non ne parlava. Anzi, aveva persino rinunciato alla scorta, per evitare che altre vittime innocenti  potessero essere coinvolte.

Credo che questa consapevolezza sia stata la fonte di quella profonda serenità che il presidente Sandro Pertini colse nel suo volto quando corse all’Università, subito dopo la notizia dell’agguato. Al figlio Giovanni, il presidente confidò che non aveva mai visto prima di allora un volto così sereno pur essendo stato testimone, fin dai tempi della Resistenza, di tante morti tragiche e violente. Era la serenità della buona coscienza, di chi si era messo sulle orme del Vangelo come il “servo inutile” affidando al Signore ogni gesto e ogni scelta del proprio cammino fino al martirio. È la serenità di chi crede profondamente nella forza redentrice della Croce. I segni di questa preparazione e di questa consapevolezza sono tanti, e in qualche modo, sono ricapitolati nel luogo in cui è stato assassinato.

Bachelet si era formato nella Fuci, l’associazione cattolica che ha scelto l’Università come il luogo in cui testimoniare la fede. Allo studio aveva dedicato tutta la sua vita e non vedeva l’ora di tornare all’Università, appena concluso il suo mandato al Csm, per riprendere il filo della sua ricerca e il rapporto con i giovani. I brigatisti avrebbero potuto colpirlo facilmente anche altrove, mentre usciva di casa o andava a messa. E invece misero in scena la finzione  di una bomba per svuotare la facoltà di Scienze politiche e scelsero un martedì, il giorno della settimana in cui il professore non mancava mai la lezione.

Lo hanno colpito nella sua Università per colpire insieme al vicepresidente del Csm, simbolo di quelle istituzioni che il folle disegno delle Br voleva demolire, un grande giurista e un maestro  esemplare. Nei suoi studi si era interrogato con passione sulle grandi sfide del cambiamento e sulle urgenze politiche di un paese che stava costruendo la propria democrazia, a cominciare dall’adeguamento e dalla riforma della Pubblica Amministrazione alla luce dei principi costituzionali. Del resto, il lavoro intellettuale e l’insegnamento erano il terreno  privilegiato in cui dispiegare anche il proprio impegno civile.

Bachelet aveva una concezione ampia della dignità della politica, come costruzione della città dell’uomo, esercizio pieno della  cittadinanza che si realizza innanzitutto nella propria professione,  svolta con competenza, serietà e rettitudine. Era convinto, che non è sufficiente proclamare i valori costituzionali ma bisogna soprattutto  attuarli e renderli operanti nelle Istituzioni e nella coscienza dei cittadini. E’ stato un servitore della Costituzione e con sapienza ha cercato di inverarne i principi nel tessuto vivo della società. Non a caso, quando fu ucciso stava svolgendo una delle responsabilità pubbliche più complesse e delicate.

La sua elezione alla vicepresidenza del Csm aveva registrato una profonda lacerazione eppure riuscì a realizzare la massima unità. La magistratura era sotto attacco ben più che altri settori della vita sociale e il Csm era anche allora espressione di un grande pluralismo. Eppure Bachelet riusciva sempre a trovare la sintesi e ricomporre un punto di vista unitario. Facendo leva sui principi della Costituzione salvaguardava  la funzione della magistratura come potere autonomo e indipendente ma sempre sottoposto solo alla legge e al servizio esclusivamente dello  Stato e della comunità.

L’attualità e la forza della sua lezione non è meno importante per la Chiesa e per la vita dei laici cristiani nella comunità ecclesiale. Questa è essenzialmente contenuta nella scelta religiosa dell’Azione  cattolica, di cui Bachelet è stato artefice e guida, assolvendo al mandato che gli era stato affidato da Paolo VI in attuazione del Concilio Vaticano II. Ha ricondotto l’associazione alla sua missione educativa, di evangelizzazione, di costruzione della Chiesa e di formazione della coscienza dei laici cristiani con il contestuale abbandono di forme più o meno esplicite di collateralismo politico. «Quando l’aratro della storia scava a fondo bisogna gettare seme  buono – disse Bachelet in un’ultima intervista al settimanale dei giovani dell’Ac – e il seme buono è la parola di Cristo liberatore, morto e risorto per noi».

La scelta religiosa era la riscoperta di ciò che essenziale nella vita cristiana, era il primato della fede, il cuore della missione dei cristiani, che determina un rinnovamento fecondo non solo nella Chiesa ma nella società. Bachelet aveva questa fede profonda e ci ha insegnato che solo riconoscendo il primato di Dio si diventa autentici servitori della vita dell’uomo. È una lezione di laicità nel solco della Concilio e della Costituzione.  È la lezione che ci viene da chi ha saputo vivere quella che Bachelet chiamava la spiritualità del ponte,  perché come laici cristiani dobbiamo sentirci saldamente ancorati alla nostra Chiesa, alla quale si deve la fedeltà dei figli, e solidamente piantati nella comunità civile e politica alla quale si deve la lealtà dei cittadini.

Una lezione ancora viva per la Chiesa e il laicato cattolico in una stagione in cui, da papa Benedetto XVI al cardinal Bagnasco, si sollecita una nuova presenza dei cattolici italiani in politica. Penso che questa novità non possa prescindere dal martirio di Vittorio Bachelet e di quella generazione di laici cristiani, non a caso tutti cresciuti alla scuola della Fuci e dell’Azione Cattolica, che hanno speso e donato la propria vita, come Aldo Moro e Roberto Ruffilli, nella fedeltà alla Parola che si faceva servizio alla propria comunità e alla democrazia. La Chiesa stessa dovrebbe avere maggiore memoria storica e maggiore consapevolezza, teologica e civile, del tributo offerto da questi autentici laici cristiani.

Siamo ancora immersi nelle contraddizioni di una democrazia bloccata e incompiuta, sulla Costituzione ci si interroga non per attuarla, ma per modificarla nel suo impianto fondamentale. La  società è investita da profonde lacerazioni e disuguaglianze e sembra rifiutare  ogni offerta culturale e politica per essere più giusta, solidale e inclusiva. Ancora ci sfidano la povertà e la guerra. Ma ai cristiani non è chiesto di stare alla finestra, con uno sguardo di estraneità o peggio di diffidenza verso il mondo. Ci è chiesto, come ripeteva spesso Bachelet, «di saper vedere i segni dei tempi e saperli giudicare alla luce della fede. L’atteggiamento del cristiano di fronte alla vicenda della storia umana deve essere insieme di ascolto e di annuncio, di accoglienza e di superamento. L’ottimismo con cui possiamo guardare alla vicenda umana è l’ottimismo della redenzione, cioè della croce e della resurrezione. E un atteggiamento che consente  di guardare con amore capace di ogni accoglienza alla realtà umana è quello penetrante e libero dello spirito delle Beatitudini».


Contro la privatizzazione dell’oro blu !

febbraio 5, 2010

Avevo già espresso il mio parere su questo blog in merito alla privatizzazione dell’acqua attraverso le parole di padre Alex Zanotelli, ieri in Consiglio Comunale è stato votato all’unanimità una  importante mozione in merito che ribadisce il senso di utilità sociale e bene pubblico del cosiddetto oro blu, riporto alcune parti dell’articolo apparso su Pisa Notizie che ne sottolinea l’importanza.

“Un lungo confronto tra le forze politiche che ha portato ad un atto di primaria importanza in un momento in cui si procede alla privatizzazione di questo bene comune.

“Il diritto all’acqua- si legge nella premessa del documento approvato – è un diritto inalienabile: l’acqua non può essere proprietà di nessuno, bensì bene condiviso equamente da tutti, l’accesso alle acque deve essere garantito a tutti come un servizio pubblico. L’accesso all’acqua, già alla luce dell’attuale nuovo quadro legislativo e sempre più in prospettiva, se non affrontato democraticamente, secondi i principi di equità, giustizia e rispetto per l’ambiente, rappresenta una causa scatenante di tensione e conflitti all’interno della comunità internazionale. Si tratta, quindi, di una vera emergenza democratica e un terreno obbligato per autentici percorsi di pace sia a livello territoriale sia a livello nazionale ed internazionale”.

Viene così ribadito più volte, nella mozione presentata da Bini e condivisa da tutti i consiglieri, “la positivià dell’impatto che una distribuzione di acqua gratuita sfusa attraverso i cosidetti “fontanelli” avrebbe non solo sul piano economico, ma anche su quello dell’inquinamento dal momento che con i “fontanelli” riducono notevolmente la produzione della plastica per l’imbottigliamento, il trasporto dell’acqua per la distribuzione, lo smaltimento dei rifiuti che dal consumo di acqua del supermercatoi derivano”.

A partire da queste considerazioni il Consiglio Comunale ha deciso di prendere diversi impegni sia di natura generale nell’ottica “di costituzionalizzare il diritto all’acqua come diritto sociale” sia di carattere operativo per dare concretezza a questa mozione. Il primo passo è quello di “riconoscere nel proprio statuto comunale il diritto umano all’acqua, ossia lo status dell’acqua come bene pubblico”. Viene così confermato “il principio della proprietà e gestione pubblica del servizio idrico integrato e che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà”.

Questa affermazione secondo la mozione approvata troverà una sua ufficializzazione anche all’interno dello stesso Statuto Comunale, dando mandato alla commissione consiliare competente di fare le opportune modifiche in modo da riconoscere che “la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, e quindi la cui gestione va attuata attraversi gli artt. 31 e 114 del D.lgs 267/2000”.

Dal punto di vista delle azioni concrete il Consiglio Comunale si impegna ad avviare diverse campagne sul territorio di informazione e sensibilizzazione tra i cittadini incentivando anche “meccanismi di aggregazione che portino alla costituzione di una forte ed efficiente gestione del servizio idrico toscano, soprattutto a fini di positive ricadute tariffarie per i cittadini”, aderendo anche alle iniziative del Coordinamento Nazionale “Enti Locali per l’Acqua Bene Comune e per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato”.